L'ISTAT ha pubblicato la trentaduesima edizione del Rapporto annuale sulla situazione del Paese, che traccia un bilancio degli effetti dell'emergenza sanitaria sulla società e sull'economia nel momento del suo superamento.
Un quadro che, partendo da dati economici, restituisce dettagli su come sta cambiando la vita degli italiani.
Il rapporto 2024 illustra la complessità del presente, ma anche degli scenari evolutivi, individuando i punti di forza e le criticità per delineare alcune delle aree di intervento per le politiche di sviluppo. Tra i dati rilevati, c'è quello concernente la crescita delle persone in povertà assoluta: il 9,8% della popolazione rientra in questa fascia e, contemporaneamente, si è ampliata la distanza tra le famiglie più e meno abbienti. La percentuale è più alta di tre punti rispetto al 2013 e l'incremento ha riguardato principalmente i cittadini in età lavorativa.
L'Istat sottolinea, infatti, come il reddito da lavoro, soprattutto quello da lavoro dipendente, non sia più in grado di tutelare le persone dal disagio economico.
Il tema del working poor riguarda in particolare gli operai, per cui l'incremento è stato più rapido: si è passati, in dieci anni, dal 9% del 2013 al 14,6% nel 2023. Questi dati arrivano a fronte di un aumento dell'occupazione. In questo scenario, cala la propensione al risparmio; il mantenimento del volume dei consumi, nonostante la riduzione del potere d'acquisto, ha comportato una riduzione della propensione al risparmio fino al 6,3% nel 2023. Sulla povertà dei lavoratori, insiste anche un altro elemento: il sottoinquadramento dei laureati. L'istituto evidenzia come, nel 2023, tra gli occupati laureati circa 2 milioni, ovvero il 34% del totale, ha un inquadramento professionale che non richiede tra i requisiti il titolo universitario. Un laureato ogni tre, quindi, è sovra-istruito rispetto al lavoro per il quale è stato assunto. Quest'incidenza raggiunge il 45,7% tra i laureati in discipline socio-economiche e giuridiche, mentre scende al 27,6% tra i laureati nelle cosiddette discipline Stem.
Seppure il divario di genere resta alto (17,9%) in rapporto all'occupazione, nel 2023 sia gli uomini che le donne hanno visto un aumento del tasso. In totale, l'occupazione ha raggiunto la quota del 61,5% della popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni. Gli uomini vedono salire il tasso di occupazione al 70,4%, le donne al 52,5%. Resta elevato il tasso di inattività della popolazione tra i 15 e i 64 anni: è pari al 33,3%, il più alto dei Paesi Ue.
Il dato più allarmante riguarda appunto, come anticipato, quello sulla povertà che, nel 2023, vede un incidenza di povertà assoluta, in Italia, pari all'8,5% tra le famiglie (6,2% nel 2014) e al 9,8% tra gli individui (contro il 6,9% del 2014). In pratica, una persona ogni 10 si trova in gravi difficoltà economiche, per un totale di oltre 2 milioni di famiglie e quasi 6 milioni di individui; sono livelli mai toccati negli ultimi 10 anni.
Nel 2023 ben 1,3 milioni di minorenni sarebbero in condizioni di povertà assoluta, con un'incidenza record del 14 % e la spesa media mensile per consumo delle famiglie residenti in Italia è pari a 2.728 euro, in aumento del 3,9% rispetto all'anno precedente. La spesa media più elevata, pari a 2.967 euro mensili, è nel Nord-ovest, quasi identica rispetto al Nord-est ed al Centro (rispettivamente, 2.962 e 2.953 euro mensili), ma del 28,2% e del 35,2% superiore rispetto alle Isole (2.314 euro) ed al Sud (2.195 euro).
L'Italia, nell'ultimo ventennio, ha registrato una diminuzione della popolazione compresa tra i 18 ed i 34 anni. Un calo del 22,9%, che si sostanzia in oltre tre milioni di giovani in meno rispetto al 2004. Confrontando i dati con il 1994, quando si verificò il picco grazie ai ragazzi che rientravano nella fascia del baby boom, il calo è pari a quasi cinque milioni: -32,3%.
Nell'ultimo decennio la popolazione italiana diminuisce di oltre un milione di persone ed è il Mezzogiorno a subire il calo maggiore. Le previsioni demografiche di lungo periodo indicano un rafforzamento della tendenza allo spopolamento delle aree economicamente meno attrattive e all'invecchiamento. In prospettiva, saranno i più giovani e la popolazione attiva a diminuire, mentre crescerà in misura consistente la popolazione in età avanzata, soprattutto al Centro-Nord.
Nel Mezzogiorno il fenomeno è già molto severo poiché la denatalità si associa da tempo alla ripresa dei flussi migratori. Tra il 2002 ed il 2012 la popolazione residente in Italia è cresciuta di oltre tre milioni di unità. Tale variazione ha interessato prevalentemente il Centro-Nord (circa il 90% della quota aggiuntiva, un milione di persone nel solo Nord-ovest), soprattutto grazie a un saldo migratorio positivo, trainato dalla componente estera e residualmente dal Mezzogiorno, dove Molise, Basilicata e Calabria già in questo periodo hanno registrato una perdita di popolazione tra il 2% ed il 3%.
Dal 2012, a livello medio nazionale, l'indice di vecchiaia, dato dal rapporto tra popolazione di 65 anni e più e di età tra 0 e 14 anni, è aumentato di 44,7 punti (+61,4 dal 2002), a 193,1. La differenza massima si ha in Sardegna (88,3 punti), dove la popolazione residente è al contempo tra le più longeve d'Italia e con la fecondità più bassa.
Una lettura di sintesi della robustezza economica dei territori segnala, nel Nord, 21 province economicamente forti e 2 nel Centro (Roma e Firenze). Nel Sud e nelle Isole predominano i territori a bassa solidità economica (rispettivamente 17 e 12 province). Questi risultati riflettono le ampie disparità tra sistemi socio-economici territoriali in Italia.
Un quinto della popolazione italiana, circa 12 milioni di abitanti, risiede in Comuni con accessibilità elevata ai servizi, mentre in quelli con accessibilità scarsa (per lo più di Aree Interne) abita il 2,2% circa dei residenti. Sussistono notevoli differenze sul territorio, associate all'urbanizzazione: dista al più 15 minuti da un ospedale il 75,5% dei Comuni lombardi, contro il 14,5% dei Comuni della Basilicata (93,4 e 41,6% le quote di popolazione).